Kevin Mitnick

Kevin Mitnick, la superstar dei tecno-ribelli

25 dicembre 1994, giorno di Natale

Tsutomu Shimomura sedeva comodamente nel suo studio. Dalla scrivania, un monitor acceso gli lanciava occhiate invitanti. A stuzzicarlo l’idea di un ultimo check prima di cena; ancora non sapeva che quel piccolo piacere lo avrebbe lasciato sgomento.

Qualcuno era entrato nel suo computer. Ed era dannatamente bravo

La caccia per Shimomura iniziava così. Come tamburo di guerra, il picchiettio furioso delle sue dita sulla tastiera. Nessuno poteva permettersi di fargli fare la figura del fesso. Non nel suo elemento. Era un ricercatore del San Diego Supercomputer Center, e un hacker governativo.

Lo avrebbe trovato, il Condor.

 

25 dicembre 1994, giorno di Natale. Qualche ora prima

Kevin Mitnick, alias il Condor, si trovava a Raleigh (California). Ma era piuttosto sicuro che non lo avrebbero rintracciato a breve.

L’uso di un modem cellulare impediva a chiunque di risalire al luogo da cui chiamava

Era un bene; aveva dei piani interessanti per quel modem. L’obiettivo del momento era Tsutomu Shimomura, un white hat al servizio dell’FBI. Un bel trofeo. 

Per Mitnick la spinta era sempre quella: l’avventura, l’adrenalina.

Kevin Mitnick era un giocatore.

Un cacciatore di grossi premi scintillanti, presi per il solo gusto di dire di avercela fatta. E lui ce la faceva spesso. “L’hacker più famoso al mondo”, così lo chiamava la stampa. Un gran bel titolo. Saltuariamente doveva dimostrare di esserselo guadagnato. 

L’incursione nel mondo privato di Shimomura cominciava con queste premesse. L’irrintracciabile Kevin osservava, assaporava il momento. Scorreva tra i file, copiava qualcosa.

Era un guanto di sfida. 

Prova a prendermi, Tsutomu. Provaci.

L’attacco informatico del 1994 era per Kevin Mitnick solo l’ultimo di una lunga serie. Nato il 6 agosto 1963, a Van Nuys (California), l’hacker aveva dimostrato precocemente le sue abilità.

A 16 anni la prima intrusione, ai danni del sistema di sicurezza della sua scuola. Poi l’incursione nel computer del North American Air Defense Command.

Nel 1981 i primi guai con la legge: aveva fatto irruzione con degli amici nella sede di Cosmos, il database delle maggiori compagnie telefoniche americane, recuperando password, accessi e manuali operativi. Un furto da 170mila dollari

Seguirono altri furti, più o meno eclatanti. Il Condor, come aveva iniziato a farsi chiamare, sfruttava ogni breccia e quando non ne trovava una, la creava lui.

Si spacciava per un responsabile, ne imitava i modi, modulava la voce, creava relazioni di fiducia. Poi, chiedeva.

Password, documenti riservati, organigrammi: tutto gli veniva donato spontaneamente.

Aveva padroneggiato una tecnica nota come “social engineering”. Era in buona sostanza una perfetta spia, esattamente come Robert Redford ne I tre giorni del Condor. Da lì la scelta del nome.

Verso la fine degli anni ’80 – con la fedina penale già macchiata da diversi arresti – colpì tutta la rete della Pacific Bell. Poi prese di mira le maggiori compagnie tech. Infine, accusato di frode informatica e possesso illegale di codici di accesso, fu inserito in un programma di riabilitazione dal tribunale. Volevano curare la sua dipendenza dai computer.

L’astinenza forzata, però, non durò molto. Segretamente il Condor tornò in attività, violando i termini della libertà vigilata.

Uno scherzetto che lo costrinse alla fuga. 

Con l’FBI alle costole, il suo divertimento divenne quello di depistare gli agenti. Prese il controllo del sistema di commutazione telefonica di Los Angeles e fornì ai suoi intercettatori posizioni fasulle. Quello che doveva essere il suo nascondiglio, si rivelò tutt’altro: il salotto di un ignaro cittadino, “beccato” a guardare la tv.

Nel 1991 Mitnick diventò l’hacker fuggiasco più ricercato d’America, anche grazie al contributo di John Markoff.

Un reporter del New York Times che documentò con malcelato biasimo tutte le fasi di questa avventura al di fuori della legge. Ma al Condor i toni sprezzanti del giornalista non interessavano, la sua attenzione era tutta per l’FBI. Iniziò a intercettare gli agenti, a lasciare loro messaggi, indizi, e… ciambelle.

Con la diffusione della telefonia mobile Mitnick si sentiva invincibile. Il re dei phreaker. Ma anche i re cadono, e la caduta del Condor iniziò il 25 dicembre 1994.

15 febbraio 1995, l’arresto di Kevin Mitnick

Dalla notte di Natale, l’informatico giapponese Tsutomu Shimomura non si era fermato un attimo. Aveva rintracciato tutte le falle lasciate da Mitnick e le aveva seguite fino a lui. A febbraio, dopo mesi di lavoro, era finalmente riuscito a individuare l’origine del segnale. Quello stesso giorno l’FBI si era presentata alla porta dell’appartamento del Condor.

Kevin David Mitnick aveva aperto la porta ed era stato arrestato. Era il 15 febbraio 1995.

Eppure, anche in manette, Mitnick aveva saputo sorprendere. Al suo rientro a casa Shimomura si era trovato la segreteria telefonica intasata dai messaggi del suo hacker preferito. Teoricamente già in custodia. 

Dalla casella vocale di Shimomura:

“Ah, Tsutomu, my learned disciple, I see that you put my voice on the Net. I’m very disappointed, my son.”

Al momento dell’arresto Kevin Mitnick fu accusato di innumerevoli crimini informatici. Furto di file e software, frode telematica, intercettazione di e-mail… Il tutto per un danno di circa 300 milioni di dollari a carico di compagnie come Apple, Nokia, Motorola, Netcom, e altre ancora.

Un danno però solo “potenziale” poiché Mitnick, fedele al suo spirito voyeuristico e alla sua attitudine da prankster, non divulgò mai i file e le informazioni da lui rubati.

Questo comportamento da ladro gentiluomo spiega in parte il rispetto e il supporto che Mitnick ottenne da tutta la comunità hacker, inclusa la sua nemesi.

16 febbraio 1995, il giorno dell’udienza preliminare per Kevin Mitnick 

Shimomura e Mitnick, che mai si erano visti reciprocamente in volto, sedevano nell’aula di tribunale.

Entrambi sulla trentina, entrambi con folti capelli lunghi fino alle spalle, entrambi attenti, si scrutavano. Solo uno dei due indossava un paio di manette. Quando fu il momento di avvicinarsi all’uscita, Kevin Mitnick si avvicinò a Shimomura.

“Hello, Tsutomu. I respect your skills.” 

Shimomura annuì solennemente.

Dopo l’udienza Mitnick venne imprigionato per 4 anni in custodia cautelare, senza cauzione, in attesa della sentenza. Questa palese violazione dei suoi diritti civili animò migliaia di hacker e appassionati.

“Free Kevin, Save America”, gridavano. Tra le fila anche Eric Corley e Steve Wozniak (il co-fondatore di Apple), uniti nella denuncia contro un sistema che – spaventato dalle potenzialità della rete e da chi ne faceva uso con destrezza – non esitava ad abusare della propria autorità. Arrivando persino a negare un giusto processo a un “innocente fino a prova contraria”.

 

WHAT THE KEVIN MITNICK CASE MEANS TO YOU

Mitnick’s case should be of concern to both freedom loving Americans, and computer users alike. Thus far, Kevin has been denied trial, yet imprisoned for 4 years. The only logical explanation behind this was that he irritated the wrong people. This mentality of tyranny holds no place in our American democracy.

Kevin’s guilt of computer crime is not the issue here. Without a trial, the issue of guilt has not come into play. Whether innocent or guilty, Kevin has been railroaded by those in our government who are abusing power, because of personal paranoia and revenge.

Aside from the question of legalities and constitutional rights, there is the question of treason;

If a law enforcement official, such as those involved in the Mitnick case, uses their position of power abusively, and contrary to the laws and constitution of the United States, in direct contradiction to the purpose of our constitution, knowingly and purposely violating the rights of an individual to stand trial, then they place in jeopardy, the security of this nation’s freedom.

This is exactly what the judges and FBI agents have displayed in the Mitnick case. If the prosecution succeeds in their efforts, the Mitnick case could be used to stifle the rights of any American citizen accused by the government for any reason.

 

Dalla brochure del movimento Free Kevin

 

COSA SIGNIFICA PER TE IL CASO KEVIN MITNICK

Il caso Mitnick dovrebbe interessare sia gli Americani amanti della libertà, sia gli utenti di computer. Finora, a Kevin è stato negato un processo, ma è imprigionato da 4 anni. L’unica spiegazione logica dietro una cosa del genere è che abbia irritato le persone sbagliate. Questa mentalità tirannica non ha posto nella nostra democrazia americana.

Che Kevin sia colpevole di crimini informatici non è il problema qui. Senza processo, la questione della colpa non è entrata in gioco. Che sia innocente o colpevole, Kevin è stato preso di mira da coloro che nel nostro governo abusano del potere, spinti da paranoie personali e della vendetta.

Oltre alla questione della legalità e dei diritti costituzionali, c’è la questione del tradimento;

Se un rappresentante delle forze dell’ordine, come quelli coinvolti nel caso Mitnick, usa la propria posizione di potere in modo abusivo e contrario alle leggi e alla costituzione degli Stati Uniti, in diretta contraddizione con lo scopo della nostra costituzione, violando consapevolmente e intenzionalmente i diritti di un individuo a essere processato, allora mette in pericolo la sicurezza della libertà di questa nazione.

Questo è esattamente ciò che i giudici e gli agenti dell’FBI hanno fatto nel caso Mitnick. Se l’accusa riuscirà nello sforzo, il caso Mitnick potrebbe essere usato per soffocare i diritti di qualsiasi cittadino americano accusato dal governo per un qualsivoglia motivo.

 

Dalla brochure del movimento Free Kevin

 

Kevin Mitnick

 

Una nuova vita per Kevin Mitnick 

Doesn’t the FBI have more dangerous criminals to find and prosecute than a mischievous trickster gaining unauthorized access for fun— not felony?

Nel 1999 la sentenza di colpevolezza venne finalmente emessa, l’anno dopo – anche grazie alle pressioni del movimento Free Kevin – Mitnick fu scarcerato.

In tutto aveva trascorso 5 anni in carcere, di cui 8 mesi in isolamento.

Quello che negli anni ’80 gli agenti dimostrarono di non capire era l’importanza delle competenze di persone come il Condor. Scovando le falle di sistema, gli hacker stavano contribuendo a rendere l’ambiente informatico più sicuro.

Le loro incursioni palesavano l’ingenuità delle misure di protezione e costringevano governi e imprese a una presa di consapevolezza in tema di sicurezza informatica.

Kevin Mitnick, del resto, aveva eluso l’FBI per anni. E, una volta catturato, volle insegnare al governo come stringere le maglie dei suoi sistemi di protezione.

La chiusura della parentesi criminale confluiva per lui nell’inizio di una brillante carriera da white hat.

Alla fine, la sua storia – interpretata con il contributo della comunità hacker – costrinse le autorità a ripensare al modo in cui perseguivano i cybercriminali.

Queste riflessioni hanno portato nel tempo a cambiamenti permanenti del modo in cui le aziende e le persone proteggono le loro informazioni più sensibili.

Oggi la vicenda  di Kevin Mitnick è diventata leggendaria ed è la base per molti libri, articoli, film e programmi TV.

 

When the FBI, US Marshall Service and Secret Service were chasing me, it was an adventure. It was this huge cat and mouse game and I never wanted to treat it like I had to be afraid, looking over my shoulder, because that’s not the life I wanted to live. […] I was addicted to hacking, more for the intellectual challenge, the curiosity, the seduction of adventure; not for stealing, or causing damage or writing computer viruses. […] I love magic and that is how I got started doing this – I found out later that the FBI had no sense of humor but that’s a story for another day.”

 

“NESSUN SISTEMA O PROGRAMMA È MAI COMPLETATO. 

LO PUOI SEMPRE RENDERE MIGLIORE” 

Legge dell’hacking

 

La storia di Kevin Mitnick fa parte di Rebel Stories. Volume II. Puoi scaricarlo qui.

Rebel Vol. 2

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